Così, alla fine del suo articolo (laRepubblica 27.1.13), Francesco Merlo sintetizza il suo giudizio (o livore ) su Beppe Grillo.
Livore che, francamente mi ha evocato solo disgusto. Disgusto per la evidente aggressiva e violenta faziositĂ (la violenza si esterna, talvolta, ancor meglio con le parole, con la penna) espressa dall’autore di questa lunga invettiva. Grillo viene smantellato senz’appello, condannato al rogo per stregoneria. Francesco Merlo, evidentemente, ha timore per la paccottiglia di cialtroni ancorata sulle sedie e impegnata perennemente a sbafare. Paventa possa subire qualche scossone, qualche perdita. Si preoccupa che sia costretta a rinunciare a qualche centinaio d’euro o a rimboccarsi le maniche e lavorare per davvero o, peggio, teme che vada ad ad ingolfare le patrie galere. Insomma, anche se remota e forse anche utopistica, intravede una chance: che il falansterio, di cui probabilmente è membro, possa sgretolarsi sotto i colpi di un singulto di rinnovamento. E così, a testa bassa, inciprignito, depenna con furore il fantasma sul palcoscenico.